25 -08-2016 - Salve a tutti, nuovo editoriale dedicato all’evento sismico dell’Italia centrale, alla luce dell’importanza che il sisma sta avendo, purtroppo, in termini di conseguenze, tragiche, sul territorio e sulla popolazione.
Approfondiamo quindi gli aspetti prettamente tecnici del terremoto, sempre in forma amatoriale e sempre, si spera, comprensibile a tutti i lettori, lasciando alla cronaca le immagini più crude della distruzione di centri abitati coinvolti, nel rispetto di quanto accaduto e soprattutto di chi ha subito gravi perdite.
Iniziamo subito dalla prima domanda:
Come si muove il terreno in occasione di eventi di questa portata, perchè le femenologie si localizzano in determinate aree??
Ebbene, per comprenderlo, iniziamo a descrivere quanto accaduto nell’evento sismico che ha preceduto quello attuale, ovvero il terremoto de L’Aquila del 6 Aprile 2009.
Per tale terremoto, i ricercatori dell’INGV (Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia) hanno studiato, tramite rilevazioni satellitari, gli spostamenti del terreno a seguito della sequenza sismica avvenuta nell’area, con diverse scosse di magnitudo ML >5,0 e una con magnitudo ML =6,3 (fig.1).
fifg.1
Dalla splendida ricostruzione in fig.1 (fonte INGV) si riconosce la faglia responsabile del terremoto, inclinata verso sinistra, in direzione del Tirreno, la cui emergenza superficiale è collocata a est della piana de L’Aquila, ai piedi del Massiccio del Gran Sasso.
Tutto il settore della piana, colorato in giallo e rosso, è stato letteralmente “trascinato” giù dalle scosse sismiche, che hanno mobilizzato l’ammasso roccioso lungo il piano di faglia facendolo muovere lungo la direzione rappresentata dalle grandi frecce gialle. In tale occasione quindi, la piana dell’Aquila, nei settori centrali (ad esempio l’abitato di Onna) è sceso anche di parecchi cm (fino a 25).
Le sollecitazioni generate da tale movimento hanno arrecato danni gravissimi agli abitati della piana, molto maggiori di quelli posti lungo le pendici del Gran Sasso, i cui rilievi sono praticamente rimasti immobili, come massa inerziale rispetto al blocco in movimento in discesa lungo il piano di faglia.
Per capire meglio di cosa di parla torna utile l’esempio adottato ieri, nel precedente editoriale, con la fig.2 che esprime i concetti finora descritti in maniera semplificata (fig.2).
fig.2
Nell’esempio precedente, in luogo del massiccio del Vettore e della piana di Castelluccio c’è, rispettivamente, il massiccio del Gran Sasso (letto del piano) e la piana de L”Aquila (tetto del piano), che rappresenta il blocco “scivolato” lungo il piano di faglia.
Torniamo adesso al terremoto del 24 Agosto, di ieri, e cerchiamo quindi di capire, sulla base dell’esempio precedente, cosa sia successo, con una ricostruzione molto rozza (ancora non sono disponibili dati ufficiali, fig.3).
fig.3
In fig.3 è rappresentata tutta l’area colpita dal sisma, con evidenziate le due conche intramontane di Norcia e Amatrice, con in mezzo l’abitato di Accumoli.
Appare evidente come le dinamiche siano molto simili, con due grandi massicci appenninici (Sibillini con il monte Vettore e monti della Laga) e due conche di sprofondamento che, molto probabilmente, con l’attuale terremoto, si saranno ulteriormente ribassate di qualche cm almeno.
Dalla dinamiche descritte si evince anche il motivo dei maggiori danni inferti agli abitati di Amatrice, Accumoli e Norcia (quest’ultima però ha retto molto meglio l’impatto in virtù dell’ottima ricostruzione con criteri antisismici avvenuta dopo i terremoti del 1979 e 1997-1998). Ovvero, i settori che hanno patito realmente il movimento, con ribassamento lungo il piano di faglia (tetto), analogamente a quanto rilevato nel 2009 a L’Aquila, sono stati proprio quelli pianeggianti dove erano collocati gli abitati, mentre i settori rilievi montuosi (letto del piano), non hanno subito danni rilevanti.
Veniamo quindi alla seconda domanda, già posta nell’editoriale di ieri:
Quanti altri contesti simili ci sono in Appennino, in aree ad alta sismicità??
Parecchi appunto, quasi tutto l’Appennino centromeridionale praticamente (aree ad alta pericolosità sismica); ecco, a tal proposito dove, nell’ultimo secolo, ci sono stati terremoti di magnitudo >6,0 (fig.4).
fig.4
Procedendo da nord verso sud le date in fig.4 indicano, rispettivamente, i terremoti umbro-marchigiani, quello attuale di Amatrice, quello de L’Aquila, descritto in precedenza, quello della Marsica (Avezzano) e quello dell’Irpinia, quest’ultimi due con magnitudo prossima o uguale e 7.
Guardando la distribuzione dei terremoti in fig.4 sembra facile, a prima vista, affermare che è possibile sapere dove potrebbe avvenire il prossimo grande terremoto, ovvero nel settore ancora non interessato negli ultimi 100 anni da terremoti.
E’ davvero così??
Ovviamente NO. O meglio, è possibile affermare che, nell’area compresa tra la Marsica e l’Irpinia, in tempi geologicamente brevi, è probabile il verificarsi di un terremoto di magnitudo>6,0, ma l’affermazione “geologicamente brevi” in questo caso sottintende un arco temporale che può variare da pochi anni a parecchi decenni, addirittura un secolo.
Il problema è proprio quello, la ricerca in campo sui terremoti è giunta a identificare con notevole precisione e dettaglio i settori di territorio dove è elevata la probabilità di un evento sismico in tempi relativamente brevi, ma il lasso temporale è sempre troppo lungo se rapportato alla durata della vita umana.
Cosa fare quindi??
Si torna al punto di partenza e alla solita conclusione: costruire meglio e cercare di migliorare quello che è stato costruito; l’esempio di Norcia in proposito è davvero emblematico in merito, nessuna vittima accertata, contro i numerosi morti di una tragedia che non avrebbe dovuto avere simili proporzioni.
Ciao ciao