18-01-2015 - Salve a tutti; anche stasera, vista la relativa esiguità di novità fornite dal lungo termine dei modelli, cogliamo l’occasione, oltre che a illustrare gli stessi modelli, di impostare una discussione di carattere generale riguardo la tipologia delle possibili dinamiche del Vortice Polare Troposferico che, solitamente, rendono gli inverni della nostra penisola degni di essere ricordati dal punto di vista delle nevicate e del freddo.
Iniziamo dall’ultimo aggiornamento del modello americano (run ore 12 UTC). Rispetto a quello delle ore 06 UTC (ved. editoriale) la struttura del Vortice Polare vede una maggiore presenza di ondulazioni della corrente a getto e un assetto meno compatto, con possibilità di arrivo di pertubazioni fredde da nord e/o nordovest e un clima più dinamico nel Mediterraneo ( fig.1)
fig.1
Nel complesso però, la struttura del Vortice Polare visibile in fig.1 è ancora piuttosto coesa, priva di grandi penetrazioni delle onde planetarie e di grandi ondulazioni del getto polare (quelle in figura sono di moderata ampiezza).
Ma perchè è così importante seguire l’andamento della struttura del Vortice Polare per sapere se arriveranno il freddo e la neve?? Com’è noto, il Vortice Polare rappresenta un’ampia struttura depressionaria presente soprattutto in quota (5000-6000 m) nel semestre invernale al di sopra delle regioni polari. Tale struttura depressionaria è generata proprio dal forte raffreddamento presente in inverno alle alte latitudini, a causa dell’assenza di radiazione solare incidente e costituisce il “serbatoio” del freddo a scala emisferica (nel nostro emisfero al suolo, al livello del mare, ci sono altri “poli” del freddo generati dalla presenza delle grandi masse continentali, soprattutto quella asiatica, ma in quota è il Vortice Polare la figura dominante). Quando il Vortice Polare assume una forma piuttosto compatta, come in fig.1 risulta difficile per le nostre latitudini che il freddo e gli scambi di calore tra le regioni polari e quelle temperate possano avvenire con frequenza e, di conseguenza, la stagione invernale assume caratteristiche più simili a un lungo autunno,che si prolunga per molti mesi oltre il suo naturale decorso.
Viceversa, in presenza di un VP “disturbato” e quindi indebolito, nuclei del VP stesso, provenienti dalle latitudini artiche, possono giungere alle latitudini mediterranee, proprio perchè il VP “rilascia” una parte del freddo accumulato, non avendo la forza di rimanere unito e compatto. I disturbi responsabili dell’indebolimento del VP menzionati possono essere di vario tipo. In tal senso, i meteo appassionati in inverno sono sempre alla ricerca di eventuali riscaldamenti (warming) stratosferici (al di sopra dei 10-12 mk di quota) in quanto, se sufficientemente potenti e repentini, tali riscaldamenti possono propagarsi alle quote troposferiche, verso il basso, andando a indebolire notevolmente anche i piani troposferici del Vortice Polare (si parla quindi di MMW, Major Midwinter Warming).
Esempi notevoli di MMW che hanno generato grandi ondate di gelo nei nostri territori sono quello celebre del 1985 (fig.2).
fig.2
In questa occasione una potente alta pressione in Atlantico (quasi coincidente con la partenza, in verticale, del warming stratosferico) indusse uno split (scivolamento) di un nocciolo gelido del VPT dalle latitudini artiche verso quelle mediterranee, con moto retrogrado, al suolo, delle masse d’aria fredda dal bassopiano russo.
Ancora più eclatante quello del 1929, una delle peggiori ondate di gelo degli ultimi 200 anni, in fig.3 si vede bene, ai primi di Febbraio, come il VPT fosse completamente destrutturato, con aspetto a “groviera” a causa dei numerosi centri di alta pressione che lo “disturbavano” appunto, con colata gelida “retrograda” (in opposizione alle correnti occidentali dominanti) dalla Russia anche in quella occasione (fig.3).
fig.3
Ma non è affatto necessario che si inneschi un MMW per avere un’ondata di gelo come quelle riportate; a tal proposito, un caso recente ed eclatante è stato quello del 2012, con una delle peggiori nevicate a memoria d’uomo nelle regioni centrali (con molte analogie con quella, sempre mitica, del 1956) e una eccezionale configurazione a “ponte di woeikoff”, ottenuta con scarso aiuto stratosferico, comunque senza MMW (fig.4).
fig.4
In tale occasione, il Vortice Polare mantenne un assetto piuttosto compatto, ma lasciando libero un “fianco” e andando quindi in displacement nell’area siberiana. Per displacement si intende quando la struttura del Vortice Polare trasla nel suo complesso dalla sua sede naturale in Artico, restando comunque unita, decentrandosi a latitudini inferiori. Per intenderci, è quanto prevedono, alla quota geopotenziale di 10 hPa (media stratosfera) le carte per la fine del mese (fig.5).
fig.5
In occasione dell’evento del 2012 ci fu un disturbo simile alle quote stratosferiche, senza evoluzione però in MMW. Tuttavia, il fatto stesso che la struttura del Vortice Polare Stratosferico risultò disturbata dall’innesco del diplacement, fu sufficiente a creare l’evento del 2012. Chiariamo subito che NON stiamo facendo paralleli per dire che andrà anche questa volta allo stesso modo; proprio ieri nell‘editoriale serale, era stato evidenziato infatti come, tra le quote stratosferiche e quelle troposferiche, non ci sia molta comunicazione al momento (decoupling). Risulta altresì interessante seguire cosa accadrà però alle quote stratosferiche, soprattutto alla luce del fatto che il VPT sta mostrando una forza inaspettata che, in linea teorica, dovrebbe lasciare il posto ad almeno qualche temporaneo cedimento, visto il quadro teleconnettivo attuale. Eventuali “micce” lanciate dalla stratosfera potrebbero quindi indurre una nuova fase evolutiva alle quote troposferiche, con l’arrivo di freddo e neve alle latitudini più basse.
Ciao ciao